Siamo in partenza con la Banda Bassotti per un concerto la sera stessa in Spagna. Il nostro gate non è ancora sui tabelloni. Siamo un po’ in anticipo, più che un po’, abbastanza in anticipo, molto in anticipo…mmm! Diciamo più di quattro ore.
Vaghiamo per l’aeroporto in cerca di qualcosa di economico da mangiare…
Ok, abbandoniamo l’idea di economico e cerchiamo solo qualcosa da mangiare…
Ok abbandoniamo l’idea di mangiare e cerchiamo un posto dove sederci. Troviamo delle sedie vicino un pianoforte a coda di quelli messi lì, a disposizione per chi vuole.
In quel momento c’è un bimbo che suona con un dito, nessuno lo ascolta, solo i genitori. Ci sediamo, il bimbo va via. Dopo una decina di minuti una ragazza passa la mano sulla tastiera strimpellando a caso i tasti dall’acuto al grave. Ride e va via.
Dieci minuti dopo un’altro ragazzino. Questo sa suonare qualcosina in più: due o tre canzoni a due mani. Dopo il primo brano, un timido applauso dei presenti, poi di nuovo il disinteresse anche perché il piccolo suona sempre le stesse tre cose a ripetizione. Di nuovo pausa. Quindici minuti. Ogni tanto qualcuno tocca i tasti, qualcun’altro vorrebbe ma non trova il coraggio.
Infine si siede un giovane sulla ventina.
Attacca un blues, i suoi amici intorno. E’ piacevole. Le persone intorno mostrano interesse: qualche passante rallenta la corsa, alcuni si fermano. Io sono lì, seduto con la mia tromba vicino, mi sfiora l’idea di suonare con lui, dura un secondo, l’abbandono, non ho bisogno di mostrarmi. Il pubblico aumenta comincia a scaldarsi, qualcuno dei miei amici mi stuzzica: – Certo adesso ‘na bella trombetta nun ce starebbe mica male! – Sorrido. Il ragazzo, all’inizio un po’ impacciato, si scioglie sempre di più, la gente intorno al piano è triplicata. Suono anch’io? Non suono? L’ho fatto mille volte, so che se inizio a suonare la gente già meravigliata rimarrebbe incredibilmente stupita. Non capita spesso di sentire una tromba dal vivo alla gente normale, vincerei facilmente. Tentenno… non ho bisogno di mostrarmi… però mi va! Da dietro arriva un’altra frecciatina: – Forza un po’ co’ ‘sta tromba… che dovemo fa? – Stavolta rispondo: – Nooo state boni, lasciateme stà, poi ormai avrà quasi finito… – è vero, il ragazzo cerca di chiudere, ma si nota che non sa come fare, inoltre la gente continua ad aumentare e a mostrare apprezzamenti. Sono in molti con il cellulare in mano che filmano.
Beh, io non ho deciso. Le mie mani hanno aperto da sole l’astuccio ed hanno preso l’oggetto che meglio conoscono al mondo, un gesto fatto quasi tutti i giorni da quando avevo otto anni.
Infilo l’imboccatura e sono pronto, quattro secondi in tutto! Posso irrompere con un suono potente oppure entrare discreto aumentando il volume piano piano, so che entrambe le scelte sono valide. Sono seduto. Scelgo la seconda. Voglio creare stupore. Ci sarà un momento che la folla si chiederà cosa sta succedendo e da dove vengono quei suoni, che strumento è, chi lo suona, l’ho fatto mille volte, sono padrone della situazione! Un gioco da ragazzi! …E invece No! Faccio le prime note, delicate, sommesse e sento subito che c’è qualcosa che non va, una sensazione stranissima sulle labbra, provata quasi mai nella vita da professionista, forse solo due o tre volte in tutto. La gente si è accorta della novità, è incredula (obiettivo raggiunto!), sente che c’è una tromba, non posso più tirarmi indietro. Continuo. Vado avanti sempre più scomodo sulle labbra man mano che mi faccio avanti musicalmente. Sono fortemente a disagio, mentre avrebbe dovuto essere un piacere. Che cosa succede? Qui entra in gioco l’esperienza. Il panico è vietato, peggiorerebbe – e di molto – la situazione. L’adrenalina e la lucidità sono la salvezza.
Mi alzo in piedi, due piccioni con una fava: la gente così sa dove sono, finalmente vede chi suona. E’ gratificata. Io respiro meglio e suono più comodo. Ma ancora non ci siamo: il bocchino sulle labbra è un corpo estraneo, gioco in difesa, uso delle frasi non difficili ma ad effetto sicuro. Il ragazzo pianista è spaesato, si sente che non è abituato a suonare insieme ad altri. E’ contento, ma non interagisce, non mi aiuta… proseguo con le mie frasi a basso rischio camminando tra le sedie ed avvicinandomi al pianoforte. Il cervello va a duemila per cercare di capire cosa c’è che non va: ho montato il bocchino sbagliato? La tromba è rotta? Qualche oggetto vagante all’interno della custodia si è infilato nella campana? No, niente di tutto questo! Penso.. penso.. Suono e penso… sono attimi lunghissimi, vorrei non essere lì, la gente ha quasi bloccato il corridoio di passaggio tra il pianoforte e i negozi, ora ci saranno almeno un centinaio di persone, i telefonini si sono moltiplicati, nessuno si accorge che sto passando attimi terribili, voglio morire! Poi…. La lampadina!
Realizzo dove sono, che ora è, perché sono lì e soprattutto da dove vengo… no… da QUANDO vengo!
Vengo dalla Sardegna con un volo alle 6 del mattino, vengo dal concerto della sera prima che é finito alle tre del mattino e da un’ora di macchina per raggiungere l’aeroporto senza passare per il letto, vengo da una giornata intera a bivaccare intorno al palco perché il volo da Roma (il giorno prima) era stato anch’esso alle 6 del mattino con sveglia alle 4 e vengo dalla sera ancora prima che – essendo estate – è sacrilegio toccare il letto prima delle 2.
Bene! Scoperto l’arcano mistero l’animo si distende. Prendo fiato. Stringo i denti ancora un minuto e chiudiamo questo blues della sofferenza! Applausi scroscianti. Abbracci con il nuovo amico pianista, scambio di contatti, promessa di risuonare insieme, saluti e… colazione, quanto costa costa!
Giovanni Todaro
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